lunedì 29 novembre 2010

neve

Ed eccoci qua. L'inverno non si è fatto aspettare molto e da una settimana a questa parte Copenhagen si vestita di un bianco abbagliante. Camminare per le strade è sempre più difficile...prima di tutto per via del ghiaccio che si attanaglia stretto stretto al marciapiede. E poi perchè il vento penetra nei vestiti, raggiunge le ossa. E, costretti dal gelo a una paralisi facciale, non rimane che strascicare i piedi tra la neve fresca, un passo dopo l'altro, per arrivare a destinazione.

Per evitare l'assideramento, bisogna procedere alla vestizione quotidiana con cura e dovizia. Personalmente, ho trovato un sistema: collant 1200 denari accompagnati da sovracalze (molto poco sexy, ma doverose), maglietta leggera (l'abbandono della maglietta della salute è stato il primo segno della mia ribellione adolescenziale...), pullover di lana, pantaloni pesanti, windstopper e piumino. Per quanto riguarda le scarpe, sto trovando prodigiose le superga alte di pelo che mi ha regalato il mio lui durante la nostra ultima tappa torinese. Questo basta per non crepare di freddo, ma non credo che quest'inverno riuscirò a scampare alla terribile influenza che qui sta già mietendo parecchie vittime. Vi aggiornerò. Per adesso, vi lascio con la fotografia di un uccellino che ho scattato ieri, durante l'ultima tormenta di neve. Lui le sogna, le mie superga di pelo...

giovedì 14 ottobre 2010

La scuola tecnologica





E ora vi pongo un quesito. Che cos'è l'edificio dalla strana architettura fotografato qui sopra? Un centro conferenze? Un'associazione giovanile? Un cafè? Niente di tutto ciò. O forse meglio...tutto quanto! Questo strano posto è...una scuola danese. Un liceo, per essere precisi.
Ieri sono andata a parlare con un prof, in cerca di qualche informazione per il mio futuro e...mi sono trovata in un ambiente moderno, giovane, stimolante. Un enorme, unico open-space, dove le classi sono divise solo da vetri e i banchi sono tavoli rotondi, come quelli di una cucina o di un ristorante. Ariose, luminose.
Un altro aspetto mi ha colpito: in questa scuola, ho visto pochissimi libri. Neanche una penna. Matite poi...introvabili. Ogni alunno possiede un laptop Mac e grazie alla wifi segue le lezioni navigando nell'intranet della scuola. Mi sono fermata un po' più a lungo in quel luogo incredibile, è stato possibile farmi assistere ad una lezione per gli studenti dell'ultimo anno (ovvio, basta sedersi ad un tavolino vicino ad un gruppo di studenti, come se fossi al bar!)...lezione che è durata circa 15 minuti. Essendo in danese, non ho capito molto, ma ho afferrato che si trattava di storia del '900 e in particolare si cercava di analizzare quali sono state le cause del moderno terrorismo islamico. Al termine del confronto, che si è svolto come un dialogo tra studenti e prof, i ragazzi hanno formato gruppetti da due o tre persone e hanno iniziato a fare un riassunto di ciò che hanno capito. Tutto questo, in forma di podcast da consegnare al prof entro la fine della lezione. Roba da far venire i capelli dritti a Mariastella!

Dentro di me pensavo alle scuole che io ho frequentato da ragazzina...edifici decadenti, mal funzionanti, con aule piccole, banchi scrostati e sedie traballanti. Aule computer paleozoiche, palestre claustrofobiche. Biblioteche inaccessibili e "gabinetti" di chimica che facevano ridere i polli. Oramai sono passati 8 anni dalla mia maturità, la tecnologia nel frattempo ha fatto passi da gigante ma...le nostre scuole sono rimaste uguali a come le avevo lasciate. Proprio nello stesso stato. Noi italiani siamo sempre un po' indietro agli altri Paesi, ma nel caso dell'istruzione oramai siamo stati "doppiati".

Con questo io non voglio affondare il nostro sistema educativo: io credo che tutto sommato sia buono, credo nel potere dei libri in formato cartaceo e mi pare difficile poter condensare concetti storici complessi come quelli della storia del Novecento in un podcast che magari dura 5 minuti.
Però...come per tutto, in medio stat virtus. Va bene la matematica, va bene il latino, va bene filosofia e geografia. Ma con l'ausilio della tecnologia, costantemente...non sarebbe tutto più stimolante e utile? L'utilità delle cose che studiamo...concetto che durante la mia vita da studentessa mi è sembrato sempre così lontano...

domenica 29 agosto 2010

Prossima fermata...Valby

E dopo Tokyo e Shanghai, eccomi tornata...a casa!
Lasciare le familiari mura di Torino è stato un trauma - non ancora superato - ma devo ammettere che Valby, il distretto di Copenhagen dove sono andata a finire...è piuttosto carino. A breve altre foto e aggiornamenti sulla vita che devo imparare a costruirmi nella terra di Kierkegaard, di Ticho Brahe e di Amleto...il resto è silenzio.

giovedì 12 agosto 2010

Sumidagawa Hanabi



Mi metto un vestitino leggero, per non avere troppo caldo. Salgo sulla metro, sapientemente incolonnata come tutti quanti – dopo due settimane oramai la JR non ha più segreti per me – e dopo 20 minuti esatti scendo a Ueno. Davanti a me, il Bunka Kaykan, dove questa sera il Teatro Regio ha messo in scena la Bohème. I giapponesi amano l’opera e a quanto pare hanno apprezzato il nostro Puccini, dato che hanno formato una fila – naturalmente ordinata e silenziosa – fuori dall’ingresso artisti, aspettando i cantanti per un autografo. Mi sento una diva quando mostro il pass per entrare, là dove alla folla non è concesso. In realtà voglio solo attendere il mio musicista al fresco, nella saletta che precede il backstage. Arriva circondato da alcuni colleghi italiani, più qualche giapponese: stasera si esce tutti assieme, per un programma speciale. Tutti a casa di Takae per assistere al Sumidagawa Hanabi, lo spettacolo di fuochi d’artificio che ogni ultimo sabato di luglio si tiene lungo le sponde del fiume di Tokyo.

Una corsa contro il tempo ci porta ad una palazzina di quattro o cinque piani, il padre di Takae è sulla porta e ci indica a che piano indirizzare l’ascensore. Arrivati a destinazione, come da rito ci togliamo le scarpe per entrare dentro alla casa, ma solo per percorrere un breve corridoio. Veniamo invitati da un’anziana signora a uscire nuovamente all’aperto, da una porta che a prima vista sembra quella di un balcone, ma che in realtà porta ad un terrazzo enorme. Varcata la soglia, ci troviamo piacevolmente accolti da un gruppetto di giovani ragazzi giapponesi: gli uomini in yukata, l’abito tradizionale per le occasioni informali estive e le donne in kimono tradizionale dai colori sgargianti, i capelli raccolti in elaborate e voluminose acconciature. Ci offrono sedie e birra fresca, svelandoci il banchetto di piatti tipici giapponesi preparati per l’occasione, mentre lo spettacolo pirotecnico ha inizio.

E fu così che una ventina di occidentali si ritrovarono, quasi per caso, sul tetto di una casa di Tokyo, assaporando per un momento un’antica tradizione giapponese nel modo più autentico e genuino. Grazie infinite, dolce Takae, per quello che hai saputo regalarci quella sera.

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I decide to wear a light dress for the evening, not to be too hot. I get on the subway, perfectly lined up with the others – after two weeks the Japan Rail doesn’t hide any secret to me – and after exactly 20 mins I get off at the Ueno station. In front of me, the Bunka Kaykan, the theatre in which this evening the Teatro Regio has performed Bohème. Japanese people love the opera and it seems that they have appreciated our Puccini too, since they formed a – obviously tidy and silent – queue in front of the artists’ entrance, waiting for the autographs of the singers. I feel like a diva while I’m showing the pass to enter where the crowd is not allowed to. Actually, I just want to wait for my musician in the cool backstage room. He arrives with some Italian and Japanese colleagues: this evening we are going out together, for a very special program. We are going to Takae’s home to see the Sumidagawa Hanabi, the fireworks that every last Saturday of June are held on Tokyo’s river.

A fast run to be on time takes us to a 4-5 floors’ house, Takae’s father is at the door, indicating us which button to push on the elevator. As a ritual, we take off our shoes to enter in the house, but just to walk a little passage. An old and elegant woman invites us to go out again, it seems on a balcony. Actually the balcony is a big terrace and a nice group of young Japanese people greet us. Men wear the yukata, the traditional suit for informal summer meeting and women are in colorful kimonos, with elaborate and voluminous hairstyle. They offer us chairs and fresh beer, uncovering the heavenly banquet of typical Japanese food, while the pyrotechnical show begins.

In this way, twenty western people sat down on a roof in Tokyo, could taste for a while the authentic and genuine atmosphere of an ancient Japanese tradition. Thank you so much, sweet Takae, for what you could gift us that evening.


giovedì 29 luglio 2010

Considerazioni




Giornata di vento e di pioggia qui a Tokyo...ci voleva, per staccare dal ritmo serrato delle camminate per la città immersi nel caldo soffocante. Oggi si respira, e io ne approfitto per rilassarmi un po'.

E' passata più di una settimana da quando siamo partiti. Eppure mi sembra di non aver ancora del tutto afferrato il senso di questa metropoli... ma credo che neanche gli stessi abitanti possano affermare di conoscere bene Tokyo.

Questa è la città dei contrasti: i grattacieli futuristi lasciano volentieri spazio all'architettura Edo dei templi shintoisti (spesso ricostruiti, le guerre moderne non li hanno risparmiati). Nella folla di camicie bianche nelle stazioni della metro si intravedono ancora donne in kimono, e anche loro intraprendono goffe corsette per salire sulla Yamanote Line, con i loro caratteristici zoccoli infradito.

Le strade sono tirate a lucido, non un rifiuto per terra. Ma se ti capita di mangiare un gelato, potresti camminare per ore prima di trovare un cestino...perchè qui non sono previsti. Sembra il paese della prosperità, ma a Ueno si scopre che anche qui c'è gente che un lavoro, ma anche una casa, non ce l'ha.

Piccole considerazioni da un topolino che si credeva metropolitano, ma che in realtà qui sembra arrivare dalla campagna più sperduta...anche se credo che i giapponesi farebbero carte false per aprire la finestra della propria camera, ogni giorno, e trovarci una piazza Carignano o una via Lagrange...pensate che hanno un canale televisivo tutto dedicato al relax, nel quale vengono proiettate ininterrottamente diapositive di paesaggi italiani, accompagnati da musica classica o lounge.










mercoledì 21 luglio 2010

日本


Avete presente quando alzate il coperchio per controllare se l'acqua bolle? A luglio, a Tokyo, quando si esce all'aperto si riceve in faccia la stessa vampata di vapore. La temperatura sfiora i 40 gradi e l'umidità è al 100%. Immersi in una torrida aria bagnata non si ha neanche l'impressione di sudare e come se non bastasse gli sporadici aliti di vento non recano alcun sollievo, dato che un asciugacapelli produrrebbe una corrente più fresca. Insomma, a spasso per la città ci si sente come un raviolo cinese in una vaporiera.


Ma la stanchezza accumulata durante il viaggio non basta a frenare il mio entusiasmo. Dopo non so quante ore di volo sono finalmente arrivata in una terra che mi ha sempre affascinato. Faccio fatica a crederci, ma è così: ciò che spicca verso l'alto non sono i campanili delle chiese ma vertiginosi grattacieli, la guida è a destra e bisogna fare attenzione quando si attraversano le strade, i libri iniziano dalla IV di copertina. È incredibile pensare che questo paese dalle semplici e millenarie tradizioni improntate sulla quiete, la riflessione e la pace interiore possa allo stesso tempo ospitare una delle più pulsanti e caotiche metropoli del mondo.


Abbiamo dormito tutto il pomeriggio, non riuscivamo a tenere gli occhi aperti. Ma verso sera la fame ci ha svegliati e ci siamo diretti verso Shibuya, il famoso quartiere dei divertimenti, in cerca di qualche cosa di buono da mangiare. Il nostro hotel è vicino alla stazione di Shinagawa e il modo più semplice per spostarci è la JR, la metro leggera. Non è stata un'impresa facile: ci sono veramente troppe linee, troppa gente, troppi colori e troppi corridoi...e il rischio di disorientamento è molto alto. Nella metro, pulitissima, la gente prende posto ordinatamente e inizia a leggere giornali, libri o manga (anche i business men!) oppure si attacca al cellulare...sempre che non sia vicino ai posti riservati ai disabili e ai bambini, dove invece è tenuta a spegnere gli apparecchi elettronici...e lo fa! Erano le 10 di sera e ho pensato che fossero allucinazioni da jet lag quando per la strada ho visto persone appena uscite da lavoro e ragazzini nella classica divisa marinara di scuola...qui in Giappone la giornata lavorativa è moooolto più lunga rispetto alla nostra!


Arrivati a destinazione, siamo stati attratti da quel vortice di folla e luci che è Shibuya. Ristorantini tipici giapponesi con le lampade di carta di riso all'entrata si alternano a centri commerciali, negozi di scarpe, fast food e sale per il pachinko. C'è così tanta gente che bisogna camminare intruppati e chi si ferma è un pedone morto. Veramente sorprendente è il famoso incrocio circondato da grattacieli, cartelloni pubblicitari e megaschermi, il più affollato del mondo.


La nostra visita non è durata molto, il caldo e la stanchezza si sono fatti sentire quasi subito e quindi, dopo esserci rifocillati un po', ci siamo reintrodotti in quel dedalo di corridoi della metro per tornare in albergo: la prima giornata è volata!

giovedì 8 luglio 2010

Tramonti e nuovi orizzonti


La prima cosa che ho notato quando sono scesa dall'auto è stata l'intensità della luce. La luce cerulea di un cielo ancora chiaro, nonostante fossero quasi le 11 di sera. Il traghetto per Rødby in qualche minuto sarebbe partito.
Ho girato le chiavi, ho aperto la portiera e sono uscita a respirare un po' di aria fresca.

Nel tratto di autostrada da Lubecca a Fehmarn si vedono solo distese infinite di campi battuti da un vento instancabile. Dopo quasi sedici ore di viaggio, quel panorama così struggente e affascinante sembra infinito ma quando si arriva al piccolo porto di Puttgarden l'estenuante attesa viene presto ripagata. Il Baltico si distende davanti a te, in tutta la sua silenziosa maestà.

E mentre stavo lì, mezza intorpidita, a osservare, ho pensato a quanto non ci potesse essere situazione più appropriata per descrivere quello che mi sentivo dentro. Un altro importante capitolo della mia vita si chiude così, tra le acque scure di un freddo mare del nord. Attraversarle per me significa fare capolino in una terra straniera e dare inizio a una nuova e stimolante avventura.

Con il cuore colmo di buone speranze, mi sono avvicinata al mio compagno di viaggio, appoggiandogli la testa sulle spalle, e una lacrima di gioia mista a paura mi ha rigato il viso.

Il tramonto sul Baltico è un'esperienza emozionante.

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When I went out from the car, the first thing that I could notice has been the intensity of light. The cerulean light of a bright sky, even if it was almost 11 p.m. The ferry-boat to Rødby was about to sail. I turned the key of the car, I opened the door and I went out to breathe some fresh air.

What you can see from the highway from Lubeck to Fehmarn is just a long sweep of windy fields. After almost sixteen hours of travel, such a yearning and fascinating panorama seems to be endless but when the little harbour of Puttgarden comes, that long wait is soon rewarded.
The Baltic Sea is in front of you, so silent and big.

And while I was standing there, half dulled, I thought about how suitable this situation was to describe what I was feeling inside. Another important chapter of my life was going to end, on the dark water of this northern sea. To cross it means to me not just to arrive in another foreign country but also to begin a new and stimulating adventure.

I came up to my travel-mate with the heart full of good hopes and I rested my head on his shoulder. A teardrop of happiness and fear furrowed my face.

The sunset on the Baltic Sea is a touching experience.